Architettura Vernacolare e ospitalità. Extract from l'EBITDA consapevole. Luci, forme e colori dell'architettura alberghiera. Dalla sostenibilità ambientale all'aumento del margine di profitto.

Capitolo 4. L'architettura Vernacolare ed il suo rapporto con il mondo dell'ospitalità.

L'architettura vernacolare o autoctona, ovvero analogica, è un'espressione del disegno del paesaggio edificato. 

Non è molto semplice parlare di questo tipo di architettura, né del suo evolversi nel corso della storia. Ritengo, infatti, sia innanzitutto complicato darle una collocazione cronologica, credo che la si possa verosimilmente considerare come parallela all'architettura formale.

Il primo passaggio è chiarire il significato del termine ed il suo rapporto con l'architettura formale, nonché la differenza con l'architettura tradizionale. L'architettura vernacolare è la definizione utilizzata per tutti quei manufatti la cui progettazione è stata realizzata da risorse non in possesso dell'istruzione e quindi dei requisiti formali generalmente richiesti per assurgere a questo compito. Vernacolare come un linguaggio che è proprio di quel luogo, quindi autoctono, e si manifesta ed esprime lontano dagli schemi del lemma scritto ed ufficiale. Analogica perché la logica che sottende alla sua realizzazione è l'analogia, ossia la somiglianza, l'affinità con il territorio che la ospita. 

L'architettura formale è per contrappasso quella che nasce dalle conoscenze formali acquisite attraverso trattazioni e documentazioni scritte, realizzazioni e progetti redatti da professionisti riconosciuti come tali dalla convenzioni normative, quali architetti, geometri ed ingegneri.

Terzo punto è la differenza tra l'architettura vernacolare e l'architettura tradizionale. Quest'ultima, infatti, seppur strettamente legata alle esigenze del territorio ed al background culturale dei suoi abitanti non è necessariamente realizzata al di fuori delle teorie architettoniche formali. Al contrario, spesso si concretizza attraverso l'unione dei due saperi. Molte delle masserie presenti nel meridione d'Italia sono un tipico esempio di architettura tradizionale. Le stesse sono infatti frutto delle vicissitudini storiche e sociali del territorio in cui nascono, comprendono e reagiscono alle caratteristiche climatiche attraverso le disposizioni, le forme ed i colori, e nascono da progetti architettonici che seguono l'ortodossia.

L'architettura autoctona o vernacolare viene spesso identificata con il termine bioclimatica. 

Una delle caratteristiche principali di questo genere di costruzioni è, infatti, una compatibilità con le condizioni climatiche del luogo, altra caratteristica è l'utilizzo di materiali naturali e locali. 

Un esempio di architettura vernacolare restituita al presente nella sua completa espressione identitaria sono sicuramente i trulli della Valle d'Itria. Queste costruzioni autoctone o di sostentamento sono visibili in modo unitario ed omogeneo nella città di Alberobello, dal 1986 inserite nella lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO. Ci sono poi i Cabanon delle Alpi Liguri, originariamente dei fienili in quota utilizzati come rimesse, riprodotte con le stesse modalità costruttive dallo Studio di Architettura Officina82 di Garessio (Cn) e presentate alla Sedicesima Biennale di Architettura.


Al fine di rendere l'analisi dell'architettura vernacolare chiara ed organica, ma soprattutto visivamente identificabile, si utilizzeranno per esteso due esempi di questo genere di costruito:
l'architettura Minka in Giappone e l'architettura vernacolare maltese ovvero mediterranea. 
Prima di fare questo passaggio è necessario però chiarire altri due punti, ovvero il rapporto esistente tra questo genere architettonico e l'antropologia e poi con il sistema alberghiero. 
Rispetto al rapporto tra architettura vernacolare ed antropologia vale questo concetto: posta l'antropologia come scienza che studia l'essere umano dal punto di vista morfologico, sociale e culturale, in stretta aderenza all'aspetto umanistico di questa scienza, il rapporto che la lega all'architettura autoctona è lo studio del comportamento umano quando è espressione di messa in opera di tecniche atte alla salvaguardia ed all'autoconservazione del singolo e della collettività. Un edificio autoctono o vernacolare che sia non è altro che la costruzione di una dimora, ossia un metodo per difendere se stessi e la propria famiglia dalle intemperie e dai potenziali pericoli dell'ambiente circostante.
Da questo genere architettonico sono quindi desumibili molti aspetti che caratterizzano l'uomo di quel momento storico e come logica conseguenza della collettività di quel luogo e di quel tempo. Fatta questa premessa, il costruito spontaneo dice molto a proposito di un luogo e dei suoi abitanti, probabilmente molto di più di quanto possano comunicare alcune architetture di "importazione", la cui sintassi né appartiene a quei luoghi né li rappresenta. Ancor di più, quando, ad esempio, gli elementi usati sono distanti dalle caratteristiche climatiche dei territori. Quasi un modo per scollare la realtà dalla necessità e destituire l'architettura dal concetto di funzionalismo senza compensare con la decorazione.
La relazione esistente tra l'architettura vernacolare e il mondo dell'ospitalità è il riuso, del patrimonio edificato con questo codice, per finalità alberghiere o extra alberghiere. Opere di ristrutturazione che permettono di dare nuova vita ai manufatti attraverso un uso commerciale e talvolta anche solo culturale senza finalità di lucro.
Un esempio di riuso in chiave alberghiera del patrimonio di architettura autoctona è il Sasayuri-Ann.
Un modo di fare hotellerie che nasce dal recupero e successivo riutilizzo di una Minka del periodo Edo sita nella prefettura di Nara. Capitale dell'omonima prefettura, Nara è una città del Giappone, ricca di cultura e di un patrimonio architettonico estremamente interessante ed in larga parte legato al suo vecchio ruolo di rappresentanza, fu infatti la capitale nipponica fino al VIII secolo.
Il Sasayuri-Ann rappresenta un tipo di ospitalità esperienziale, un concept che si indirizza ad un viaggiatore che abbia voglia di connettersi con la terra e la gente del luogo. Il proprietario è uno shugenja (monaco) della religione sciamanica di Shugendo, originaria della zona. Insieme alla sua famiglia si dedica alla condivisione della cultura rurale giapponese, della storia e dell'ospitalità con i visitatori.



La loro minka è stata magistralmente riportata alla sua autentica bellezza, in essa vivono il fascino della storia ed il comfort contemporaneo.




Gli ospiti che lo desiderano possono sperimentare l'agricoltura biologica stagionale, le escursioni nella natura selvaggia, andare in bicicletta e in canoa. C'è anche la possibilità di imparare l'arte della meditazione e del canto, suonare uno strumento o creare ceramiche. Con preavviso sono possibili i riti shakuhachi (flauto di bambù) o il fuoco spirituale. 


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®Stefania Rachiele 





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